Sono il padre di un ragazzo di quattordici anni, uno studente che, come tanti altri, ha iniziato con entusiasmo il suo primo anno di superiori all’Istituto Enaudi, Gino Luzzato.
Mai avrei immaginato che solo poche settimane dopo saremmo arrivati a questo punto, costretti a ritirarlo dalla scuola per garantire la sua sicurezza.
Già dai primi giorni, la situazione si è rivelata difficile. Mio figlio ha iniziato a ricevere offese e minacce dai ripetenti della classe, ragazzi di un anno più grandi che sembravano determinati a intimidire chiunque si trovasse sulla loro strada. Non si trattava solo di parole, ma di atti di vera e propria violenza fisica e psicologica, tanto che la situazione in classe è degenerata rapidamente: lanci di banchi, bottiglie piene tirate addosso ai professori, un ambiente che di scolastico ha ben poco.
Mio figlio ha cercato di sopportare, di fare finta di nulla, ma giorno dopo giorno il clima è diventato sempre più pesante. Non bastava che fosse offeso verbalmente, questi ragazzi sono arrivati a lanciargli contro i banchi e a tirargli bottiglie piene, alcune aperte, costringendolo a passare intere giornate con i vestiti bagnati e l’umiliazione addosso. Ogni giorno era un tormento, ma abbiamo sperato, creduto che la situazione potesse cambiare, che la scuola intervenisse.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata quando mio figlio, dopo essere stato minacciato di nuovo, mi ha chiamato, spaventato, per chiedermi di andarlo a prendere. Sono arrivato alla scuola e, per rincuorarlo, gli ho detto di non farsi intimidire, di dire a quei bulli che noi genitori stavamo monitorando tutto. Ma proprio mentre cercava di affrontare la situazione, è arrivato il padre di uno dei bulli, un uomo che, con fare minaccioso, si è avvicinato al mio ragazzo e gli ha detto chiaramente: “La settimana scorsa ho picchiato cinque ragazzini.”
In quel momento ho visto mio figlio terrorizzato, impaurito non solo dai coetanei ma anche da un adulto, un genitore che, invece di calmare il proprio figlio, lo sosteneva in questi atti di violenza. Quando mi sono avvicinato, quell’uomo ha cercato addirittura di prendermi per la camicia e trascinarmi in un luogo appartato, come se fossimo in un campo di battaglia e non in una scuola. È stata quella la conferma che lì mio figlio non poteva restare, non potevo più permettermi di ignorare il pericolo.
La vice preside ha tagliato corto la discussione e, di fronte a una situazione tanto grave, non ha preso alcun provvedimento. Quei ragazzi, insieme ai loro genitori, sono rimasti impuniti, liberi di continuare a comportarsi come vogliono. E mio figlio? Mio figlio ha dovuto lasciare una scuola, rinunciare a quello che avrebbe dovuto essere un anno di formazione e amicizie.
Ora frequenta un’altra scuola, ma il cambiamento forzato e il trauma subito non si cancellano facilmente. Voglio fare un appello a chiunque pensi di iscrivere i propri figli all’Enaudi, Gino Luzzato: fate attenzione. La scuola dovrebbe essere un luogo sicuro, un luogo dove si impara e ci si sente protetti. Qui invece il controllo manca e i bulli possono agire impunemente.
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