Smettila di illuderti: la privacy è morta e la tecnologia governa le nostre vite
Ignoranti, se siete su Facebook, Instagram o WhatsApp, sappiate che tutto ciò che fate non passa inosservato nel digitale. Meta, l’azienda di Mark Zuckerberg, raccoglie tonnellate di dati su ogni singola azione, dai post che leggete ai messaggi che inviate. Ma fino a che punto arriva questa sorveglianza? Quali informazioni vengono davvero raccolte e come vengono utilizzate? In questo articolo esploreremo come Meta spia i suoi utenti, quali sono i rischi per la privacy e se esistono modi per proteggersi.
Come Meta raccoglie i tuoi dati

Meta sfrutta molteplici metodi per raccogliere dati, spesso senza che gli utenti se ne rendano conto:
- Tracking su Facebook e Instagram: ogni like, commento e condivisione viene monitorato per creare un profilo dettagliato delle tue preferenze.
- WhatsApp e la raccolta dati: anche se le chat sono crittografate, Meta raccoglie metadati come chi contatti, a che ora e quanto spesso.
- Pixel di tracciamento e cookies: se visiti un sito con il pulsante “Mi piace” di Facebook, Meta sa che sei stato lì.
- Microfoni e accessi ai dispositivi: ci sono numerose teorie e segnalazioni secondo cui Meta potrebbe ascoltare le conversazioni tramite i microfoni dei dispositivi. Anche se l’azienda nega, il sospetto rimane.
- Riconoscimento facciale: Meta ha utilizzato per anni il riconoscimento facciale per identificare le persone nelle foto, creando una gigantesca banca dati biometrica.
Cosa fa Meta con i tuoi dati?
Tutte queste informazioni vengono sfruttate per:
- Vendere pubblicità personalizzata: gli inserzionisti pagano per mostrare annunci mirati in base ai tuoi interessi.
- Influenzare le opinioni: scandali come Cambridge Analytica hanno dimostrato come i dati possano essere usati per manipolare le decisioni politiche.
- Condividere dati con terze parti: nonostante le promesse di trasparenza, sono emerse più volte prove che i dati degli utenti vengono condivisi con aziende esterne senza il loro pieno consenso.
- Creare una sorveglianza globale: Meta ha il potere di tracciare miliardi di persone, influenzando non solo il mercato, ma anche la società stessa.
Ci sono modi per proteggersi?
Se pensate di poter sfuggire alla sorveglianza di Meta, la verità è che è quasi impossibile. Tuttavia, esistono alcune misure che possono limitare l’esposizione:
- Bloccare i tracker con estensioni browser come uBlock Origin o Privacy Badger.
- Evitare di usare Facebook per accedere ad altri siti e servizi.
- Usare app di messaggistica alternative come Signal invece di WhatsApp.
- Limitare i permessi delle app Meta, come l’accesso al microfono e alla posizione.
- Utilizzare un VPN per mascherare la propria posizione e attività online.
Siamo solo prodotti per Meta?

Se un servizio è gratuito, significa che il prodotto sei tu. Meta guadagna miliardi sfruttando le informazioni personali degli utenti, e la maggior parte delle persone lo accetta senza rendersene conto. La domanda è: quanto siete disposti a sacrificare della vostra privacy per continuare a usare i social? O credete ancora che non abbiano nulla da nascondere?
Violazioni della privacy online da parte dei Big Tech
La rapida crescita delle piattaforme digitali e dei servizi online negli ultimi anni ha portato alla raccolta massiva di dati personali da parte delle grandi aziende tecnologiche. Big Tech come Meta (Facebook), Google, Amazon, Apple e Microsoft sono state più volte coinvolte in scandali di privacy, con violazioni documentate che hanno suscitato allarme nell’opinione pubblica e interventi dei regolatori. Di seguito esaminiamo alcuni casi concreti – dal celebre scandalo Cambridge Analytica alle grandi fughe di dati, dalla sorveglianza occulta alle pratiche discutibili di monitoraggio con l’Intelligenza Artificiale – e vediamo come questi episodi abbiano influenzato le normative sulla protezione dei dati e portato a sanzioni significative.
Il caso Cambridge Analytica (Facebook/Meta)
Nel 2018 emerse uno dei più clamorosi scandali sulla privacy: Cambridge Analytica, una società di consulenza politica, aveva raccolto senza autorizzazione i dati di milioni di utenti Facebook attraverso una innocua app di quiz psicologici.
In dettaglio, solo 57 utenti in Italia installarono l’app “This Is Your Digital Life”, ma questa riuscì ad accedere anche ai dati dei loro amici, coinvolgendo in totale oltre 200.000 utenti italiani all’insaputa dei diretti interessati
Globalmente il numero di profili Facebook raccolti abusivamente arrivò a 87 milioni, usati poi da Cambridge Analytica per condurre mirate campagne di propaganda politica durante eventi come le elezioni presidenziali USA del 2016. Lo scandalo provocò un’ondata di indignazione mondiale e mise in luce come Facebook (oggi Meta) non avesse controllato a dovere l’uso dei dati da parte di terzi.
Le conseguenze per Facebook/Meta sono state rilevanti. In Regno Unito, il Garante privacy (ICO) ha multato Facebook con la sanzione massima prevista all’epoca – £500.000 – per aver esposto gli utenti a “un serio rischio di danno”
In Italia, l’Autorità Garante ha inflitto una multa di €1 milione a Facebook, sottolineando la violazione delle norme nazionali sulla protezione dati con il trasferimento illecito di informazioni a terzi. Negli Stati Uniti, la Federal Trade Commission (FTC) ha imposto a Facebook nel 2019 una sanzione record di $5 miliardi legata a Cambridge Analytica e ad altre violazioni della privacy. Si tratta della multa più alta mai comminata dall’FTC, conseguenza diretta del clamore suscitato dallo scandalo e delle prove del grave mancato rispetto della riservatezza degli utenti
Oltre alle sanzioni pecuniarie, Facebook ha dovuto implementare misure correttive e subire un intenso scrutinio normativo: il suo fondatore Mark Zuckerberg è stato chiamato a testimoniare davanti al Congresso USA, e la vicenda ha alimentato movimenti come #DeleteFacebook (utenti che cancellavano i propri account in segno di protesta).

Fughe di dati e data breach su larga scala
Un’altra categoria di violazioni della privacy riguarda le fughe di dati nel digitale (data breach), spesso dovute ad attacchi informatici o negligenza nella sicurezza. Numerose aziende tecnologiche hanno subito intrusioni con esposizione di milioni di account e informazioni personali sensibili. Un esempio eclatante è Yahoo, storica azienda web, che ha subito il più grande data breach della storia: nel 2013 tutti i suoi 3 miliardi di account furono violati e sottratti da hacker.
Inizialmente Yahoo pensava che “solo” 1 miliardo di profili fossero compromessi, ma successive indagini rivelarono che ogni account esistente era stato hackerato, rendendo l’evento il più imponente mai registrato. Tale falla, rivelata solo anni dopo, ha inciso pesantemente sul valore di mercato di Yahoo e innescato decine di cause legali.
Un altro caso gravissimo è quello di Equifax (non Big Tech ma agenzia creditizia), dove nel 2017 furono trafugati i dati finanziari e personali di 147 milioni di persone – praticamente metà della popolazione degli Stati Uniti.
Equifax è stata sanzionata per la sua scarsa protezione dei dati con un accordo da $700 milioni con le autorità USA, a titolo di risarcimento e multe.
Anche i giganti del web sono caduti vittime di data breach. LinkedIn, oggi parte di Microsoft, subì violazioni (ad esempio nel 2012 e nel 2021) con centinaia di milioni di profili trafugati. Facebook ha visto nel 2019 emergere un database online contenente le informazioni di oltre 500 milioni di utenti (inclusi numeri di telefono), probabilmente raccolte abusivamente sfruttando una falla delle API prima che fosse corretta.
Google+, il social network di Google, ha avuto bug che esponevano dati dei profili: nel 2018 Google rivelò una falla che aveva potenzialmente esposto informazioni di mezzo milione di account, decidendo di chiudere il servizio anche per evitare lo scandalo in pieno caso Cambridge Analytica
Questi incidenti hanno evidenziato l’importanza della trasparenza e tempestività: il ritardo o l’occultamento nella comunicazione (come inizialmente accaduto con Yahoo e Google+) è anch’esso considerato grave, tanto che agli occhi delle autorità può aggravare le sanzioni. Ad esempio, i dirigenti di Google sono stati accusati di aver cercato di tenere nascosta la violazione di Google+ per “guadagnare tempo” ed evitare scrutinio normativo, vicenda che ha portato a una causa degli azionisti risolta con un esborso di $350 milioni da parte di Google per patteggiare le accuse di aver occultato falle di sicurezza.
Sorveglianza occulta e tracciamento segreto
Un filone diverso di violazioni riguarda la sorveglianza nascosta o il tracciamento non autorizzato degli utenti. In alcuni casi si è trattato di programmi governativi di sorveglianza di massa che coinvolgevano, spesso a loro insaputa, i grandi provider di servizi internet; in altri casi di iniziative delle stesse aziende per raccogliere dati senza un’adeguata informativa.

Il caso più famoso di sorveglianza di massa è emerso nel 2013 con le rivelazioni di Edward Snowden. Documenti top-secret hanno svelato l’esistenza di programmi dell’NSA come PRISM, attraverso i quali l’agenzia di sicurezza USA raccoglieva comunicazioni e dati personali direttamente dai server di aziende come Microsoft, Yahoo, Google, Facebook, YouTube, AOL, Skype ed Apple.
In base ai file trapelati, Microsoft fu la prima a partecipare nel 2007, seguita negli anni successivi da Yahoo, Google, Facebook e infine Apple nel 2012.
Le aziende coinvolte negarono di concedere “accesso diretto” ai dati, sostenendo di aver risposto solo a ordini legali mirati; tuttavia, l’idea che governi potessero spiare segretamente le attività online di miliardi di persone, appoggiandosi alle infrastrutture dei Big Tech, generò scalpore in tutto il mondo. In Europa in particolare, lo scandalo NSA ha avuto un effetto dirompente: ha portato alla caduta del Safe Harbor (l’accordo che consentiva il trasferimento dei dati personali UE verso gli USA) e ha contribuito indirettamente all’adozione di regole più rigide sulla localizzazione e protezione dei dati (inclusa la sentenza che anni dopo ha invalidato anche il Privacy Shield). Molte grandi aziende iniziarono inoltre a rafforzare la crittografia dei servizi per tutelare meglio le comunicazioni degli utenti.
Anche fuori dal contesto governativo, vi sono esempi di tracciamento occulto operato dalle stesse compagnie. Google è stata colta più volte in pratiche poco trasparenti: celebre il caso delle auto di Street View (2010), quando Google ammise che le vetture utilizzate per mappare le strade in digitale stavano anche intercettando dati dalle reti Wi-Fi incontrate lungo il percorso (e-mail, password e altri dati personali) a insaputa degli utenti. Per questo war-driving non autorizzato, Google ha affrontato indagini e cause in vari Paesi (negli USA patteggiò una multa di $7 milioni con 38 stati). Nel 2012 emerse che Google aggirava le impostazioni di privacy di Safari (il browser di Apple) installando cookie di tracciamento anche quando l’utente li bloccava: ciò portò a un accordo con l’FTC e una multa di $22,5 milioni, allora la più alta di sempre per violazione di un ordine della Commissione.
Più recentemente, un’inchiesta Associated Press ha scoperto che Google continuava a registrare la posizione degli utenti Android e iPhone anche quando questi disattivavano la “Cronologia delle posizioni”: i dati venivano comunque raccolti tramite altre impostazioni meno note, come Web & App Activity. Questo comportamento fu giudicato ingannevole e ha portato nel 2022 al più grande patteggiamento sulla privacy nella storia degli USA: Google ha accettato di pagare $391,5 milioni a 40 stati per risolvere le accuse di tracciamento illecito della posizione senza consenso.
Facebook/Meta, dal canto suo, è stata criticata per la sorveglianza invisibile tramite i suoi plugin e servizi: ad esempio il pulsante “Mi piace” presente in milioni di siti web esterni invia dati di navigazione a Facebook anche per utenti non iscritti (pratica contestata da varie autorità europee). Inoltre, Facebook ha condotto esperimenti occulti, come il “emotional contagion” del 2014 in cui manipolò il feed di circa 700.000 utenti per studiarne le reazioni emotive, attirandosi accuse di abuso (pur non trattandosi di furto di dati, fu percepito come un’intrusione nella sfera personale). Complessivamente, questi casi di sorveglianza occulta hanno aumentato la consapevolezza del pubblico riguardo alle tracce digitali lasciate online e hanno spinto a dotarsi di strumenti di blocco del tracciamento e di crittografia end-to-end per difendere la propria privacy.

Abusi dell’Intelligenza Artificiale nel monitoraggio degli utenti
Con l’avanzare dell’Intelligenza Artificiale (IA), sono emerse nuove forme di sfruttamento dei dati personali. Gli algoritmi di machine learning infatti si nutrono di enormi quantità di dati – spesso raccolti dagli utenti – e alcune aziende hanno abusato di tali informazioni per monitorare o profilare in modi non etici. Un caso emblematico è quello di Clearview AI, società esterna ai Big Tech ma strettamente legata ai social network: questa startup ha raccolto oltre 3 miliardi di immagini da internet (pescando foto di persone da Facebook, Instagram, YouTube e altri siti) per addestrare un algoritmo di riconoscimento facciale avanzato.
Senza alcun consenso né informativa, Clearview ha creato un database biometrico mondiale usato da forze dell’ordine e privati per identificare individui a partire da una foto. Tali pratiche, assimilabili a sorveglianza di massa tramite IA, sono state dichiarate illegali in Europa: il Garante italiano privacy nel 2022 ha multato Clearview per €20 milioni, ordinando la cancellazione dei dati raccolti sugli italiani.
Anche le grandi aziende nel mondo digitale hanno avuto problemi nell’uso dell’IA applicata ai dati utente. Amazon, ad esempio, utilizza assistenti vocali e videosorveglianza domestica che coinvolgono algoritmi di apprendimento: nel 2019 si è scoperto che Alexa, l’assistente di Amazon, registrava e conservava indefinitamente le conversazioni degli utenti, e che migliaia di dipendenti ascoltavano frammenti di registrazioni per addestrare l’IA, spesso senza che gli utenti ne fossero pienamente consapevoli. Nel 2023 l’FTC ha accusato Amazon di violare la privacy dei minori poiché Alexa memorizzava le registrazioni vocali dei bambini anche dopo che i genitori le cancellavano, usando tali dati per migliorare i sistemi di riconoscimento vocale: Amazon ha patteggiato pagando $25 milioni e impegnandosi a cancellare i dati raccolti in violazione del Children’s Online Privacy Protection Act.
Un’altra controllata di Amazon, Ring, nota per i campanelli con videocamera, è finita sotto indagine quando emerse che i suoi dipendenti potevano accedere liberamente ai video delle camere dei clienti. In un caso del 2017, un dipendente Ring ha spiato per mesi le telecamere di clienti (in particolare donne) nelle loro camere da letto e bagni.
Questo grave abuso interno, facilitato da misure di sicurezza inadeguate, ha portato nel 2023 a un accordo con l’FTC: Ring pagherà $5,8 milioni e dovrà implementare rigide restrizioni all’accesso dei dati, a monito che la sorveglianza tramite IA (in questo caso il rilevamento di movimenti e volti nelle riprese) non esime dal rispetto della legge.
Apple ha generalmente puntato sul marketing della privacy digitale, ma anch’essa ha affrontato controversie. Nel 2019 si è scoperto che Apple faceva analizzare a contractor umani alcune registrazioni di Siri per migliorarne l’AI, e tra queste potevano finirci attivazioni accidentali dell’assistente vocale con conversazioni private (anche di natura sensibile). Lo scandalo costrinse Apple a sospendere il programma e introdurre un esplicito consenso per l’“ottimizzazione di Siri” da parte degli utenti. Negli Stati Uniti, Apple ha affrontato una class action accusatoria secondo cui Siri avrebbe ascoltato senza permesso e trasmesso conversazioni riservate, poi utilizzate per pubblicità mirata – accusa che Apple nega. Nel 2023 l’azienda ha accettato di pagare $95 milioni per chiudere la causa (pur senza ammettere colpe) e ha ribadito di non aver mai venduto o usato i dati di Siri per profilarci a fini di marketing.
Ciò mostra come anche l’IA negli assistenti vocali possa sollevare timori di abuso se manca trasparenza sul trattamento delle registrazioni.

Impatto sulle normative e sanzioni applicate
I ripetuti scandali di privacy hanno avuto un impatto diretto sull’evoluzione normativa a tutela dei dati personali in tutto il mondo. In Europa, già prima di Cambridge Analytica, si era messa in moto la nuova regolamentazione: il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), entrato in vigore a maggio 2018, ha fornito alle autorità strumenti più forti (come multe fino al 4% del fatturato globale) proprio mentre l’opinione pubblica chiedeva maggiore controllo sui colossi tecnologici. Dopo GDPR, le autorità europee hanno comminato una serie di maxi-multe ai Big Tech per violazioni della privacy: ad esempio, Google è stata multata di 50 milioni di euro dall’Autorità francese (CNIL) nel 2019 per mancanza di trasparenza sul trattamento dei dati e sul targeting pubblicitario.
Amazon ha ricevuto nel 2021 una sanzione record di 746 milioni di euro dal Garante lussemburghese per violazioni del GDPR legate alla pubblicità comportamentale.
Meta (Facebook e Instagram) è stata colpita da multe per 390 milioni di euro complessivi dall’Irlanda a inizio 2023 per aver costretto gli utenti ad accettare la pubblicità personalizzata senza un valido consenso, ne reale ne digitale.
Sempre Meta ha ricevuto dalla stessa autorità una multa storica da 1,2 miliardi di euro nel 2023 per trasferimenti illeciti di dati verso gli Stati Uniti, a causa dell’assenza di garanzie adeguate (diretta conseguenza della saga post-Snowden sui dati transatlantici). Microsoft è stata recentemente sanzionata via LinkedIn: nell’ottobre 2024 il social professionale ha avuto una multa di €310 milioni per le sue pratiche pubblicitarie, considerate non conformi al GDPR in quanto prive di base legale appropriata.
Persino Apple, spesso considerata virtuosa, è incorsa in sanzioni: a gennaio 2023 la CNIL francese le ha inflitto 8 milioni di euro di multa perché nelle vecchie versioni di iOS pre-impostava la personalizzazione degli annunci sull’App Store senza ottenere un consenso preventivo esplicito dagli utenti.
Anche fuori dall’Europa, gli scandali hanno spronato nuove leggi. Negli Stati Uniti, sebbene manchi ancora una legge federale unificata sulla privacy nel digitale, diversi stati hanno agito: il caso Cambridge Analytica ha accelerato l’approvazione del California Consumer Privacy Act (CCPA) nel 2018, prima normativa statale ampia sui dati (entrata in vigore nel 2020), che cita esplicitamente lo scandalo di Facebook come motivazione.
Altri stati come Virginia, Colorado e recentemente l’Utah e il Connecticut hanno seguito con proprie leggi sulla scia del CCPA. A livello federale, l’FTC ha aumentato il controllo: oltre alle multe record (Facebook $5 mld, Uber $148 mln per aver insabbiato un breach, Twitter $150 mln per uso improprio di dati etc.), ha emesso linee guida e ordini vincolanti per spingere le società ad integrare la privacy by design nei loro prodotti. Ad esempio, dopo le violazioni di Alexa e Ring, l’FTC ha chiarito che sfruttare dati sensibili per addestrare algoritmi senza protezioni e senza consenso è considerato una pratica sleale e sanzionabile.
In sintesi, gli ultimi anni hanno visto un netto cambio di paradigma: i casi concreti di violazione – dal data breach massivo alla profilazione indebita, dalla sorveglianza segreta all’abuso di AI – hanno spinto i legislatori e le autorità di tutto il mondo ad irrigidire le norme e ad applicare sanzioni esemplari. Oggi i Big Tech operano sotto uno scrutinio molto più severo: sono obbligati a informare chiaramente gli utenti, chiedere il consenso dove previsto, minimizzare i dati raccolti e proteggerli con cura. Le multe milionarie e miliardarie inflitte fungono da deterrente e segnano una volontà politica di far rispettare il diritto alla privacy nell’era digitale. Tuttavia, la sfida è in continua evoluzione – nuove tecnologie come l’IA generativa, dispositivi IoT e algoritmi sempre più pervasivi pongono ulteriori dilemmi – e richiederà un impegno costante affinché la tutela dei dati personali resti al passo con l’innovazione tecnologica.
Parliamo di Fonti prima delle critiche
Le informazioni e i dati citati provengono da fonti verificate, tra cui notizie, documenti ufficiali e comunicati di autorità garanti. Diversi report hanno documentato la portata dello scandalo Cambridge Analytica e le relative sanzioni, così come dettagli su violazioni di sicurezza, come il furto dei 3 miliardi di account Yahoo e le multe record inflitte a grandi aziende tecnologiche. Documenti ufficiali illustrano anche i casi relativi ad Alexa e Ring e le misure adottate in risposta. Inoltre, le autorità per la protezione dei dati hanno pubblicato provvedimenti contro aziende coinvolte in pratiche controverse di raccolta dati. Questi riferimenti confermano la gravità dei casi descritti e l’entità delle risposte normative, offrendo un quadro dettagliato e attendibile sulle violazioni della privacy online e le conseguenze per i Big Tech.
Fonti:
- Politico (politico.eu)
- Reuters (reuters.com)
- Enzuzo (enzuzo.com)
- Garante Privacy italiano (garanteprivacy.it)
- Federal Trade Commission (FTC)
- European Data Protection Board (EDPB)
Ignoranti, siate furbi!
Ignoranti, la verità è che la privacy, come la intendevamo un tempo, non esiste più. Ogni nostra azione digitale viene tracciata, analizzata e monetizzata. Possiamo mettere qualche toppa, limitarne l’impatto con VPN, blocco dei tracker e messaggistica sicura, ma se vogliamo davvero sfuggire a questo sistema, c’è solo un’opzione: abbandonare la società moderna.
Vivere in campagna, coltivare l’orto, cacciare e rinunciare a internet, alle comodità e a tutto ciò che oggi consideriamo normale. Ma quanti sarebbero disposti a farlo?

La realtà è che il mondo ormai funziona così, e forse, sotto sotto, non è del tutto un male. Il controllo dei dati porta anche comodità: pubblicità mirate anziché inutili, intelligenza artificiale che ci semplifica la vita, algoritmi che ci suggeriscono ciò che vogliamo ancora prima di cercarlo. Viviamo in un’epoca dove non siamo più liberi, ma forse siamo più efficienti.
Quindi la scelta è vostra: combattere una battaglia persa o accettare che la privacy è morta e imparare a sfruttare il sistema a vostro vantaggio.