Lucio Corsi non è un razzista è solo un bullo ignorante

Un verso infelice che riapre vecchie ferite e l’indignazione delle comunità colpite

Lucio Corsi, cantautore toscano da poco noto per il suo stile eccentrico e “visionario”, si ritrova oggi al centro di una bufera che va ben oltre le note di una canzone. In un brano datato ma pubblicato recentemente, l’artista canta:

“C’è chi dice ‘L’hanno preso gli zingari. E l’han portato in un campo fuori Roma!’”

Una frase che ha riacceso l’ira e il dolore di molte comunità da sempre bersaglio di pregiudizi, stereotipi e discriminazioni. A partire proprio da chi questa frase la sente spesso nella vita reale, come il popolo rom e sinto, che da decenni viene associato a leggende infondate come quella dei bambini rapiti.

Nessuna prova, solo paura e ignoranza

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Non esiste alcuna prova storica credibile che dimostri che le comunità rom, sinti o altri gruppi nomadi abbiano mai rubato bambini. È una leggenda metropolitana nata secoli fa e alimentata da ignoranza, paura del diverso e dal bisogno della società dominante di trovare un nemico comodo. Racconti simili sono stati usati per secoli per giustificare discriminazioni e repressioni, non solo verso i rom, ma anche contro ebrei, streghe, minoranze etniche e religiose.

In molte famiglie, si è cresciuti con frasi come: “Stai buono, se no ti portano via gli zingari”. Una pedagogia del terrore basata sul nulla, che ha generato generazioni di persone convinte che i rom fossero pericolosi.
Ma è una menzogna. Anche nei pochi casi mediatici che sembravano confermare questa idea, come quello della bambina Maria in Grecia, si è poi scoperto che non si trattava affatto di un rapimento.

L’uso dell’eteronimo: perché “zingaro” è offensivo

Il termine “zingaro” è un eteronimo, cioè una parola che non nasce all’interno della comunità che descrive, ma viene imposta dall’esterno. In questo caso, viene usata storicamente per definire i popoli rom, sinti, kale e altri gruppi nomadi con una connotazione negativa, stigmatizzante e discriminatoria.

“Zingaro” evoca nell’immaginario comune l’idea del ladro, del mendicante, del selvaggio. È una parola che non appartiene alla cultura rom, ma alla cultura che l’ha voluta emarginare. Usarla oggi, in modo disinvolto, senza consapevolezza storica, significa alimentare un razzismo sottile ma potente, che ancora oggi produce esclusione, insulti e perfino violenza.

La risposta di Lucio Corsi? Superficiale e distante

Dopo la polemica, Lucio Corsi ha minimizzato durante un’intervista radiofonica:

“La canzone è vecchia. E poi ho detto ‘ho sentito dire’.”

Ma questa giustificazione è debole e irresponsabile. Perché le parole hanno un peso, soprattutto quando vengono cantate e diffuse a un pubblico ampio. Dire “l’ho solo sentito dire” non solleva dalla responsabilità di aver dato spazio a una frase che riattiva ferite profonde, che ridicolizza o conferma uno stigma, anche se non era quella l’intenzione.

L’artista, che nel suo ultimo singolo canta “Volevo essere un duro”, sembra sempre più assumere i tratti del bullo che colpisce senza chiedersi chi sta ferendo. E la sua “gara di sputi”, questa volta, pare davvero essergli tornata in faccia.

Intanto, l’indignazione non si ferma solo alla comunità rom e sinto. Anche rappresentanti delle comunità africane, musulmane, LGBTQ+ e delle persone con disabilità hanno manifestato dissenso, sottolineando come la canzone banalizzi esperienze di emarginazione che si combattono ogni giorno sulla pelle viva.

E voi, Ignoranti, credete che basti dire “l’ho solo sentito dire” per lavarsi la coscienza?
O è arrivato il momento di sputare verso l’alto… e aspettare che la realtà vi colpisca in pieno volto?

Le parole sono pietre. E chi le lancia senza guardare, spesso colpisce chi già è a terra.

Donovan Rossetto

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